In Dox-al dal 1981, Alberto Rovera è un tecnico nutrizionista che si è progressivamente specializzato nei bovini da carne. Ma il suo primo ruolo in azienda fu quello di agente commerciale, anche se dispensava volentieri consigli relativi al suo ambito lavorativo primario. Il suo ingresso in Dox-al non fu definitivo, perché uscì per un breve periodo dall’azienda, per poi tornare e rimanere per 40 anni, fino al traguardo della pensione. Conosciuto per il suo spirito indipendente e super partes, ha un parere originale anche sul tema del benessere animale, cavallo di battaglia di molte aziende della filiera zootecnica. “È sulla bocca di tutti – dichiara con il suo stile diretto – ma spesso viene vissuto come dovere e imposizione. Per noi non è mai stato così, e l’abbiamo dimostrato già nel 2017 sul campo, con l’oasi di Cavour, in provincia di Torino”.
Un luogo ideale dove tutti i parametri, dallo spazio all’aerazione, dal cambio lettiera all’alimentazione erano tenuti in considerazione, per migliorare la qualità della vita degli animali, e di conseguenza la qualità dei loro prodotti. “Tecnicamente – aggiunge – dare più spazio agli animali incide pochissimo sulle spese, ma spesso l’allevatore non lo sa”. Per questo diventa importante avere e dimostrare una profonda conoscenza della materia, che genera fiducia e favorisce rapporti a lungo termine, in cui il cliente “sposa l’azienda”. Il valore della competenza è uno dei punti di forza Dox-al, a cui si affiancano la solidità, l’affidabilità anche economica e l’importanza delle persone che “sono una garanzia di continuità”.
In Dox-al Alberto ha imparato anche la diplomazia – “cosa che non ho”, sottolinea con una certa autoironia – e a gestire i conflitti interpersonali. Grazie all’azienda ha girato il mondo, e conosciuto professori universitari, ricercatori e relatori che hanno arricchito le sue conoscenze e la sua esperienza. Il suo rigore e la sua serietà traspaiono da ogni parola, ma c’è spazio anche per un sorriso, evocato da un ricordo. “Ero stato invitato a una festa in abito formale da Flavio Veneroni, ma avevo dimenticato la giacca. La moglie me ne diede una di Flavio, a sua insaputa. Così, quando lo incontrai, gli porsi un biglietto da visita: il suo”.
Tra le molteplici esperienze del fondatore di Dox-al forse mancava quella, surreale, di essere presentato a sé stesso.